I liberali italiani e la pandemia statalista

Antonio Scalari
4 min readNov 3, 2020

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Su Twitter capita di leggere commenti e conversazioni che girano all’interno di un “circoletto” (economisti, docenti, giornalisti, commentatori) di orientamento che chiamo di solito “liberale-liberista” per semplificare. Non me ne voglia chi si riconosce nella nobile tradizione di pensiero liberale che in Italia ha tra i suoi riferimenti personalità come Norberto Bobbio, anche se nel suo caso era declinata a sinistra (liberalismo sociale/socialismo liberale). Infatti, i liberali alla Bobbio appartengono al catalogo delle specie estinte. I liberali di questo “circoletto” sono in realtà più simili a quelli che negli USA vengono chiamati fiscal conservatives.

Costoro, in Italia, tendono ad autorappresentarsi come una élite di competenti, ma in verità molti non hanno ancora appreso gli elementi anche scientifici di base per capire cosa stiamo vivendo e affrontando.

Ho notato che spesso, da quelle parti, misure come lockdown e chiusure per rallentare la circolazione del virus non vengono nemmeno più valutate in termini di trade-off. Cioè come qualcosa che ha a che vedere con rapporti tra costi e benefici. Ormai, misure come queste vengono vissute, da quelle parti, solo come un intralcio per l’economia. Da questo punto di vista, si comprende da cosa sia realmente motivata anche l’insistenza sugli anziani, come unica categoria su cui concentrare gli sforzi. Oltre a scaturire dalla concezione errata che il problema rappresentato dal virus SARS-CoV-2 sia solo la letalità in quella fascia d’età.

È una grande scocciatura la pandemia (lo è davvero e molto peggio che una scocciatura). Non solo costringe gli Stati ad attuare misure senza precedenti, ma tocca nervi scoperti e mette in luce problemi strutturali e limiti storici dell’organizzazione politica, sociale, economica nelle democrazie occidentali. Per i fiscal conservatives però non è solo una scocciatura. È anche una minaccia.

La pandemia rinfocola paranoie e ossessioni antistataliste e antisocialiste (che vedono socialismo anche dove non ce n’è ma, intendiamoci, sono le paranoie della destra americana). Rinverdisce l’ostilità verso la sanità pubblica e universalistica e il welfare state. Con la loro pretesa di tutelare il maggior numero di vite possibili, con la loro complessa organizzazione burocratico-scientifica-tecnica che drena risorse dei contribuenti (i.e.: i contribuenti ricchi).

La pandemia rompe le uova nel paniere e interrompe il business as usual (come fa la crisi climatica). Con tutti i cataclismi economico-finanziari che ne conseguono e gli impatti, sicuramente gravi, anche su piccoli imprenditori e commercianti in difficoltà. Ma per i fiscal conservatives la via di uscita non è certo quella di una maggiore redistribuzione delle risorse. Non si devono affatto aumentare le tasse a Jeff Bezos. Nessuna apertura su questi temi, anzi i fiscal conservatives si chiudono a riccio perché la pandemia minaccia la loro ideologia. È alla fine un po’ una scusa per toglierci anche le poche libertà che ci restano e imporre il totalitarismo (si vedano le premesse ideologiche da cui muove la Great Barrington Declaration, promossa da un think-tank libertarian).

Non sono poi così tanti i gradi ideologici e le argomentazioni che separano i fiscal conservatives dai teorici della dittaturasanitaria™. E in effetti, di fronte alla pandemia, certe posizioni che vanno dal centrodestra alla destra radicale si saldano.

Da tutto questo discendono poi anche le diverse forme di negazione e minimizzazione. Chi si stupisce o pensa che tutto questo sia uno stravagante giro di parole per “buttarla in politica” ignora o dimentica le relazioni storiche e ideologiche tra antiscienza e conservatorismo politico su alcuni temi. Certo, in Italia parlare di questo vuol dire appunto “buttarla in politica” e anche la parola “negazionismo” per qualcuno a volte è un tabù. Ma questo non cancella quelle relazioni storiche e ideologiche.

Oltreoceano queste cose si dicono e si scrivono più apertamente e a farlo è proprio chi ha studiato e documentato quelle relazioni, che hanno pesantemente condizionato le politiche sul riscaldamento globale e altre questioni. Naomi Oreskes ed Erik Conway (autrice e autore di Merchants of Doubt) lo scorso aprile hanno pubblicato sul Los Angeles Times un editoriale intitolato I fallimenti di Trump sul coronavirus? Ringraziamo Ronald Reagan:

«Ciò che è iniziato 40 anni fa come ideologia è ora una patologia. Una dedizione ideologica al “governo limitato” ha spinto i conservatori a menare il can per l’aia sul cambiamento climatico, l’assistenza sanitaria, la crisi degli oppioidi e altri problemi che il settore privato non è stato in grado di risolvere e che sono troppo grandi per gli individui o anche per gli stati [nel senso americano di States, i singoli stati dell’Unione. Nota mia] per aggiustarsi da soli. Questa ideologia ha indotto i leader conservatori a respingere le evidenze scientifiche, anche se fornite dai propri consulenti esperti, e anche quando sono in gioco vite umane. La tragica conseguenza, come stiamo vedendo ora, è che si perdono vite che avrebbero potuto essere salvate»

Questi ideologi che rifiutano la scienza su temi cruciali per la vita dei singoli, della collettività e dell’umanità hanno ancora potere, influenza e denaro. Basta saperlo.

immagine di copertina via pixabay

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Antonio Scalari

Comunicatore della scienza. Qui pubblico riflessioni su argomenti vari.