La sintesi necessaria tra due opposte immagini della scienza

Antonio Scalari
4 min readApr 1, 2019

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Grazie alla sollecitazione che proviene dalle manifestazioni per il clima, che negli ultimi mesi si stanno svolgendo in molti paesi, c’è una qualche possibilità che finalmente, per la prima volta, il cambiamento climatico diventi un tema di discussione diffusa e partecipata nella società. Con tutte le conseguenze e i cortocircuiti che questo potrebbe causare, rispetto anche alla recente discussione su scienza, divulgazione, politica.

In questi anni (cose già dette altre volte, ma ripetiamole) è accaduto che una manciata di temi scientifici sia stata sventolata come una bandiera del pensiero “razionale”. Questi temi sono stati usati come cartine di tornasole per dividere gli amici dai nemici. Tra questi temi “identitari” il clima finora è stato assente, in Italia (non è stato così per esempio negli USA, dove il partito clima-negazionista ha un peso, anche politico, maggiore). Ho l’impressione che per un certo settore “pro-scienza” italiano il clima sia ancora roba da ambientalisti. E gli ambientalisti sono quelli che hanno bloccato il nucleare, che non vogliono gli OGM, sono quelli del “naturale sempre buono”, etc., per cui da “loro” non può venire alcuna soluzione.

Un certo mondo “pro-scienza” italiano non riesce proprio a buttarsi alle spalle tutto questo. Non riesce ad allargare la prospettiva oltre i confini dei propri, specifici, campi di studio. Né ad accettare il fatto che l’ambientalismo non è un partito monolitico con posizioni omogenee su una lista preconfezionata di temi da prendere in blocco (questo, va detto, lo dovrebbero comprendere anche molti in area ambientalista). Essere ambientalisti significa solo pensare che i temi ambientali siano decisivi e debbano stare al centro dell’agenda politica. L’azione del mondo ambientalista, inteso come insieme delle diverse sigle “verdi”, è stata caratterizzata da limiti e posizioni discutibili su alcuni temi. Ma le soluzioni contro il cambiamento climatico non le deve proporre solo l’ambientalismo. Le deve elaborare e realizzare lo Stato (la democrazia, il governo, il parlamento, le istituzioni), attraverso leggi e politiche, insieme alla scienza e al resto della collettività. Peraltro, spostare l’attenzione solo sulle soluzioni, magari per sottolinearne l’impraticabilità e il carattere illusorio o “antieconomico”, può essere, in certi casi, solo un trucchetto per veicolare messaggi “scettici” o negazionisti sulla realtà del cambiamento climatico e delle responsabilità umane.

Nota: L’intervista pubblicata dall’Huffington Post al fisico e climatologo Franco Prodi il 15 marzo scorso è, a mio parere, discutibile dal punto di vista giornalistico. Se un esperto viene presentato come «il climatologo di fama internazionale» che «invita alla prudenza», le sue affermazioni acquistano, agli occhi dei lettori, una potente aura di autorevolezza e “ragionevolezza”, come se potessero prescindere da qualsiasi consenso scientifico in materia. Così basta la voce del singolo, “autorevole”, esperto, a mettere le cose al loro posto. Il suo “invito alla prudenza” diventa una, falsa, via di mezzo tra negazionismo e “catastrofismo”. Ai giovani che manifestano contro il cambiamento climatico vengono concesse generiche ragioni (“giusta la protesta per il clima”), ma di fatto passano per quelli estremisti o illusi. Ovvietà come “sul clima non sappiamo ancora tutto” sono cortine di fumo che nascondono tutto quello che sappiamo già, la mole immensa di prove e dati.

Al di là del caso di Franco Prodi, comunque, c’è da constatare che un pezzo della comunità dei fisici italiani ha ancora una relazione complicata con la scienza del clima. Per alcuni fisici italiani (ma non solo fisici) siamo ancora all’anno zero della climatologia. Non dimentichiamoci che nel 2015 la Società italiana di Fisica si era rifiutata di firmare un documento congiunto delle società scientifiche italiane proprio poco prima dell’avvio della conferenza sul clima di Parigi. Alcuni forse sono ancora fermi su quelle posizioni.

Alcuni mercanti di dubbi nostrani (anche senza volerlo essere di proposito, ma poco importa) non si faranno facilmente condizionare dal movimento contro il cambiamento climatico. Al di là del grado di onestà intellettuale e scientifica e dell’agenda dei singoli, attorno al clima, come su diversi altri temi scientifici, si intrecciano visioni del mondo, convinzioni politiche e idee della stessa scienza.

Perché in effetti dalla scienza possono scaturire visioni del mondo, e della stessa scienza, tra di loro difficilmente componibili. Due, sostanzialmente:

1) La scienza è ciò che ci ha permesso di allontanarci dal nostro stato di natura, attraverso il progresso tecnologico e le miriadi di applicazioni che sono derivate dalle scoperte nei più diversi campi. Il progresso scientifico ha accompagnato la nascita e lo sviluppo dell’industria. La scienza, in questa visione, è sviluppismo e tecno-ottimismo, magnifiche sorti e progressive e “razionalità economica” (di un certo pensiero economico, dominante in Occidente).

2) La scienza è anche la teoria dell’evoluzione, che ci ricorda che siamo animali tra gli animali. La scienza è ciò che indaga la natura nel suo stato “selvaggio”, che ricostruisce la storia della vita e della Terra nell’abisso temporale che ha preceduto la comparsa dell’uomo. La scienza studia gli ecosistemi, le complesse e invisibili reti che tengono insieme tutti gli esseri viventi. Studia gli oceani, le foreste, la biodiversità. Ci permette di conoscere tutto ciò che c’è di più lontano dall’immagine e dalla realtà della civiltà industriale moderna, che è anzi stata finora una sostanziale minaccia per tantissimi oggetti di studio della scienza.

Pur sapendo di correre il rischio di semplificare un po’ troppo ma, a mio parere, di fronte al cambiamento climatico e agli altri temi ambientali ci giochiamo anche l’opportunità di riuscire, finalmente, a trovare una “sintesi” tra queste due, apparentemente, inconciliabili immagini della scienza e del progresso. Una “sintesi” che ci permetta di superare certe contrapposizioni e di immaginare una nuova, possibile, idea di sviluppo integrale per la civiltà umana e il pianeta.

Ovviamente sta a noi non farci scappare questa occasione e non lasciare che questo “momento climatico” si sgonfi e passi senza lasciare frutti. Non abbiamo più altro tempo da perdere

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Antonio Scalari

Comunicatore della scienza. Qui pubblico riflessioni su argomenti vari.